SEZIONE DI TUSCANIA 

 

 (referenti Mario Tizi e Roberto Quarantotti)

 

Ogni anno (da dieci anni) la sezione Archeotuscia di Tuscania, coordinata da Mario TiziRoberto Quarantotti, organizza il Convegno sulla Storia di Tuscania: una giornata di studio con relatori accademici e giovani ricercatori che approfondiscono la storia di Tuscania da ogni punto di vista (archeologico, storico, epigrafico).

 

Luogo di svolgimento del Convegno è l'ex chiesa S.Croce a Tuscania.

 

Inoltre, la sezione Tuscania svolge tutti gli anni (nei mesi estivi) un ciclo di visite ai luoghi meno conosciuti del territorio di Tuscania: necropoli etrusche, siti archeologici preistorici, chiese medievali.



TUSCANIA

UNA NARRAZIONE NUOVA

Di Mario Tizi

La prima opera sulla storia di Tuscania che ci è pervenuta è del XVI secolo e la dobbiamo alla penna di Francesco Giannotti, avvocato romano di origini tuscanesi. Prima di lui ci aveva provato fra’ Pacifico Pellegrini, frate viterbese dell’ordine domenicano, ma la sua opera è misteriosamente scomparsa. A fronte del tentativo di marginalizzare l’antico centro, Giannotti aveva cominciato, tra le altre cose, ad elencare i numerosi castelli sparsi nel territorio e soggetti a Tuscania nel medioevo.(Fig. 1) Ai castelli aveva aggiunto i sacchi subiti nel corso dei secoli che, secondo l’autore, avevano prodotto l’estrema povertà di Tuscania che aveva sotto gli occhi quando scriveva. Gli storici locali che nei secoli successivi si occuparono di Tuscania, aggiunsero l’elenco dei vescovi che avevano presieduto la diocesi tuscanese e l’elenco veramente cospicuo delle chiese e delle abbazie che erano sorte nelle sue terre. Come a dire che per illustrare Tuscania veniva messa gradualmente in primo piano la religione. Oggi, alla luce delle scoperte e degli studi che si sono sviluppati nel tempo, possiamo proporre una narrazione nuova su Tuscania, l’antico centro che i Romani chiamarono TUSCANA, cioè l’ETRUSCA. La denominazione rivela la straordinaria importanza che Roma attribuiva al centro, ma contemporaneamente contribuisce a creare un  confusione con la regione Toscana che dura fino ai nostri giorni. La dizione di Etrusca, in tutta l’antichità riservata solo all’Etrusca disciplina e a Tuscania, ci obbliga a cercarne la motivazione. Avventurandoci in questa indagine ci si è resi conto che un nome così impegnativo ed identitario chiamava in causa l’azione della massima divinità che all’atto della creazione aveva riservato per sé non una città, ma una terra: quella in cui gli uomini potevano utilizzare la natura per onorare gli dei  e che oggi chiamiamo Tuscania. Tutto chiaro, dunque? I secoli e gli uomini ci hanno consegnato una memoria lineare e condivisa di Tuscania? Ahimè! Gli uomini e il tempo si sono accaniti per rubare la sua storia, mistificarla e cancellarla quando è stato possibile e a noi, interessati a capire come erano andate veramente le cose, è toccata la fatica di una ricerca paziente, ininterrotta e multidisciplinare. Perché a Tuscania le epoche si sono intrecciate, le trasformazioni hanno lasciato stratificazioni di mondi diversi, il patrimonio frammentato è disperso e il volto complessivo della storia sfugge se l’indagine è monotematica, se ci si avvicina a Tuscania  utilizzando una unica competenza. L’elenco delle false e incomplete narrazioni presenta una lunga serie di episodi inquietanti. Ci avevano raccontato che Tuscania era un sito tardo-etrusco,[1] invece le recenti indagini rilevano che diversi villaggi dell’Età del Bronzo punteggiano il suo territorio. Ci avevano raccontato che Tuscania era etrusca, invece la vita vi fiorì ininterrottamente dalla preistoria lasciando cospicue testimonianze nell’Età del Bronzo, nel periodo etrusco, romano, longobardo e cristiano. Ci avevano raccontato che nella necropoli della Madonna dell’Olivo la Grotta della Regina (Fig. 2) era una tomba, invece un attento esame delle sue caratteristiche parla di un luogo di culto riservato ad una divinità lunare che popolava l’Olimpo tuscanese. Ci avevano raccontato che il suo primo vescovo era comparso nel VI secolo e che la diocesi era stata costituita dopo l’abbandono di quella di Tarquinia per i luoghi diventati insalubri.[2] Invece Tuscania aveva visto fiorire precocemente  il Cristianesimo e aveva avuto i suoi Pastori da quando si era accesa la fiammella della fede. Ci avevano raccontato che il successore di Pietro, Lino, era di Volterra, invece la tradizione lo vuole tuscanese e dice che la basilica di S. Maria Maggiore era sorta sulla sua casa paterna.Ci avevano anche raccontato sfrontatamente che TUSCANA, cioè l’ETRUSCA (terra) era Viterbo e che Tuscania era una sua  colonia.[3] Ci avevano raccontato che… e l’elenco potrebbe continuare. Ma sette anni di studi e di Convegni sulla Storia di Tuscania organizzati dall’associazione Archeotuscia di Viterbo, ci autorizzano a scrivere la narrazione nuova che in parte abbiamo anticipato nelle pagine precedenti. Naturalmente c’è ancora molto da capire, approfondire, verificare. Qui, in chiusura del libro “Tuscania, una terra per gli Dei” è sufficiente commentare due emergenze tuscanesi di capitale importanza, che da sole sono in grado di restituire il volto autentico che Tuscania ebbe nell’antichità:  l’iscrizione di Diocleziano, appartenuta alle terme romane e l’archivolto della basilica di S. Pietro edificata sul Colle omonimo. La lapide di Diocleziano (Fig. 3) faceva parte del pavimento della basilica di S. Pietro ed è stata rinvenuta frammentata negli anni ’60. La parte scritta era rivolta verso il terreno e questa disposizione era stata utilizzata per farci camminare sopra i fedeli. E’ stata studiata da un’autorità del peso di Marta Sordi che ne segnala la singolarità.[4] Esiste solo un’altra dello stesso genere ed è quella con cui furono dedicate le terme di Diocleziano a Roma. La studiosa rileva la stretta connessione della dedica tuscanese con la religione. Per governare un Impero diventato troppo vasto Diocleziano aveva dato vita alla tetrarchia: due Augusti a governare le due parti in cui era stato diviso l’Impero, coadiuvati da due Cesari. Questo nuovo modo di governare aveva bisogno di una legittimazione e quella più solida poteva venire solo dalla religione. Leggiamo come un esperto sintetizza la situazione: “Portando a radicale compimento quel processo che abbiamo visto iniziato con Aureliano, egli [ Diocleziano] andò atteggiandosi a espressione del divino e si inserì nella famiglia stessa degli dei: quasi un anello che collegava la dimensione dell’uomo a quella della divinità. Rituali di corte, sontuosità delle residenze imperiali, splendidi paludamenti, tutto contribuiva a manifestare questa teologia del potere”.[5] Che ci faceva a Tuscania una iscrizione dedicata a Diocleziano dagli Augusti che, tramite il vecchio imperatore, ricevevano il loro potere da Giove e dai Cesari, che lo ricevevano da Ercole? Se Tuscania fu un centro sacro come abbiamo cercato di dimostrare, la risposta è scontata: il Potere riceveva conferma dal luogo che in fatto di religione custodiva il mos maiorum e solo Tuscania poteva offrire questa conferma! Per l’uomo del nostro tempo c’è poi una ineludibile considerazione da fare. Un luogo dove era avvenuta la rivelazione di Tagete, una terra che Giove aveva riservato per sé all’atto della creazione, non poteva non custodire i germi che nel tempo portarono all’universalismo dell’Impero Romano e successivamente all’universalismo della Roma cristiana. Una terra non circoscritta ad una città, ad una etnia, ad un uomo, apriva la strada alla missione dell’Impero e i Pastori che ebbero i natali nell’Etrusca (terra) elaborarono gli argomenti per affermare lo slancio universale e il primato della Chiesa latina.

La seconda emergenza che necessita di un commento è l’archivolto della basilica di S. Pietro. (Fig. 4) Allo storico dell’arte E. Lavagnino che studiò la chiesa, [6] appare come un vero e proprio rompicapo. Come fecero i cosmati, che si firmavano magistri doctissimi, ad inserire un manufatto così barbaro tra le decorazioni della facciata che uscirono dalle loro mani? Per lo studioso è un problema insolubile anche l’identificazione delle rozze figure presenti nei 29 tondini dell’archivolto. I 13 tondini della parte destra rappresentano il ciclo dell’anno, (Fig. 5) ma è identificabile solo la rappresentazione di Annus, forse un Giano con lo scettro e l’ascia. Il riconoscimento dei dodici mesi risulta arduo, dal momento che non seguono il normale avvicendamento. Delle 16 raffigurazioni a destra si possono solo riconoscere due segni zodiacali, aluni cervi e quattro aquile nel colmo dell’arco. Stabilito che l’opera apparteneva all’edificazione longobarda della basilica,[7] la sua riutilizzazione testimonia l’importanza del messaggio che esprimeva e che andava riproposto con la stessa opera che per prima era stata elaborata. [8] Non solo, ma inserita nel contesto della storia di Tuscania che oggi appare più ricca e leggibile, il messaggio affidato all’archivolto appare con tutta la sua chiarezza e forza semantica. Nel ciclo dei mesi non tutte le raffigurazioni sono comprensibili, probabilmente perché all’atto della riutilizzazione furono assemblate per vicinanza figurativa e non secondo la successione naturale. Ottobre, dove un omino è alle prese con una botte, è perfettamente riconoscibile, come pure il vicino Settembre dove l’omino si presenta con i canestri della vendemmia. Ma il cuore del messaggio è rappresentato dalle quattro aquile del culmine, che puntano verso la Trinità espressa con il simbolismo del rosone. Collegate alle figurazioni che precedono, rappresentano la luce dei quattro evangelisti che rivela il mistero trinitario. Tutti e dodici i tondini della parte destra ( Fig. 6) parlano della luce: la luce della luna, del sole, la fine dell’autunno che precede la rinascita della luce e la fine dell’inverno che annuncia la primavera. Vi è poi un omino nella posizione dell’orante a esprimere l’umanità intera, un animale che si morde la coda che introduce il tempo ciclico e una rete che allude all’opera degli apostoli chiamati ad essere pescatori di uomini.[9] Quale significato complessivo dare a questo variegato simbolismo? Quale lettura è possibile? Se consideriamo l’abside della basilica di S. Pietro il culmine del Colle, il messaggio consegnato agli uomini dal Cristo che vi era raffigurato parla chiaro: EGO SUM LUX MUNDI, recitava il cartiglio in mano al Pantocrate. E di luce diffusa sull’esistenza degli uomini parla l’archivolto. Una Luce agli inizi della sua azione, quando si ritirano le tenebre e viene annunciata una nuova creazione. “Se qualcuno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”, afferma Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. [10] E Tuscania, dove la Chiesa latina lascia scritto il suo manifesto di vittoria, conserva questa proposta. Paragonato all’archivolto della basilica di Sainte Marie Madeleine a Vézelay, (Fig. 7) in Francia, il messaggio dell’archivolto tuscanese non lascia dubbi: elaborato molti secoli prima del celebre portale francese, parla di un momento iniziale e annuncia una missione dalla portata cosmica, rivolta all’umanità intera. Nella basilica francese, dove nell’archivolto sono intervallati ai lavori dell’uomo tutti i segni zodiacali, l’opera è inserita nella grandiosa rappresentazione della Pentecoste, quando lo Spirito Santo discende sugli apostoli e li prepara all’azione rivolta ai vari popoli del mondo.[11] Due tempi diversi, dunque, e due diverse sottolineature delle modalità con cui la Luce, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo”, [12] è in azione nel mondo. Per caratterizzare pienamente la narrazione nuova che andiamo costruendo sull’Etrusca (terra) è necessario spendere due parole per un aspetto non considerato, dal momento che gli elementi fondanti sono sparpagliati e privi di riconoscibilità. Cominciamo con il dire che Tuscania non dette natali a santi, non vi fu martirizzato né sepolto nessun martire e la tradizione non parla di nessun miracolo. Eppure la presenza cristiana è sovrabbondante e incontestabile. Come è potuto avvenire questo? Già abbiamo detto che se Tuscania fu un centro sacro, il Cristianesimo era obbligato a lasciarci il suo eloquente manifesto di vittoria. Abbiamo detto tutto? I numerosi segni cristiani presenti a Tuscania parlano anche di un’altra emergenza avvincente. La basilica di S. Maria Maggiore è orientata al solstizio d’inverno, in una lunetta della sua facciata è rappresentato un omino con la testa di uccello identificabile con Horus, [13] abbiamo affreschi dove il Bambino in braccio alla Vergine ha il dito atteggiato al silenzio e la chiesa medioevale di S. Maria della Rosa presenta sopra il portale un motivo a rilievo che allude alla rosa. [14]Sub rosa dicta velata est”, recita un detto in latino e ciò che è costruito “sub rosa” è obbligato al silenzio. Tutti gli elementi elencati sono caratterizzati da un solido legame: il silenzio, la conservazione del segreto. Tuscania diventa così non solo un centro sacro dell’antichità, non solo il luogo dove la Chiesa latina elabora il suo trionfo, ma anche la civitas edificata “sub rosa”, cioè custode dei segreti. Quelli che è bene non vengano rivelati mai.

 



[1] Questo aveva scritto Massimo Pallottino nelle prime edizioni della sua opera più conosciuta: Etruscologia. M. Torelli, in Enciclopedia dell’arte antica, Treccani 1966,  s.v., scrive: “Abitata probabilmente già agli inizi del VI sec. a.C. (quando doveva costituire un modesto centro del retroterra tarquiniese).

[2] G. Signorelli, Viterbo nella Storia della Chiesa, I, p. 15, Viterbo 1907; cfr anche G. Giontella,  Cronotassi dei vescovi della diocesi di Tuscania, Rivista Storica del Lazio, n. 6, 1997, p. 9.

[3] Si si tratta delle mistificazioni del domenicano viterbese Giovanni Nanni, detto Annio da Viterbo (1437-1502), umanista e studioso di teologia e antichità.

[4] M. Sordi, Un’iscrizione di Diocleziano a Tuscania, in Par Pass LXXXIII, 1962, pp. 132-137.

[5] G. Rinaldi, Pagani e cristiani. La storia di un conflitto (secoli I-IV), Roma 2016, p. 164.

[6] E. Lavagnino, S. Pietro a Toscanella, in “ L’Arte”, XXIV, 1921, pp. 215-223.

[7] Ivi, p. 215; E. Gentili, San Pietro di Toscanella, in “Archivio storico dell’Arte”, II, 1889, pp. 3-14.

[8] Ivi, p. 222: “Bisogna dunque pensare a qualche significato e valore speciale attribuito a quel fregio dagli abitanti e dal clero di Toscanella”.

[9] Mt. 13-47.

[10] Paolo, Corinzi II, 5, 17.

[11] A. Ferrand, Le zodiaque dans la décoration ecclésiale médiévale: une autre manière de penser le temps et l’espace, BUCEMA, 2015; P. Diemer- D. Diemer, Le grand portail de Vézelay,  in N. Stratford (a cura di ), Cluny. 910-2010: onze siecle de rayonnement, Paris, 2010, pp. 200-213.

[12] Gv. 1-9.

[13] Horus ha solidi legami con Arpocrate, il dio del silenzio. Plutarco di Arpocrate scrive: “egli è invece il patrono e precettore dell’umana attività di comprensione del divino, che è imperfetta e immatura e inarticolata. Ecco perché il dio tiene il dito sulla bocca, come simbolo, cioè, della prudenza e del silenzio” (De Iside et Osiride, Milano, 1985, p.131)

[14] M. Moretti, Chiese di Tuscania, Novara 1983,  p. 13 dove scrive: “Immediatamente sopra la lunetta, collocata  al centro della parte mediana della facciata, è, a rilievo, un motivo vegetale a forma di corona che potrebbe spiegare l’appellativo della “Rosa” dato alla chiesa. I tuscanesi hanno sempre chiamato la chiesa “la Rosa”  e così si trova scritto nelle opere degli storici locali. Nessuno, però, ha mai saputo perché.